da: Scarceranda, quaderno 18. 2024. pp 109-111
Un’immensa galassia di fragilità e forse solo così che possiamo essere intese noi ragazze trans sexworker e detenute e solo così si possono comprendere le nostre storie molte variegate ma con contratti comuni tratti di sofferenza.
Io mi chiamo B e sono una ragazza trans sexworker di Milano o meglio ero una sexworker perché ora che sono detenuta.
Mi trovo nel carcere di Reggio Emilia. Sarei felicissima se questa mia testimonianza diventasse un contributo utile alla riflessione sulla nostra condizione. Ho parlato di fragilità perché la fragilità è la chiave di lettura di tutte le nostre storie e fragilità è una delle parole che mi caratterizzano di più. Sono fragile dalla nascita poiché fin dal momento in cui ha iniziato a conoscere il mio corpo… Beh non mi è piaciuto… Ho provato ogni sfumatura di disagio nello stare nel mondo e nel cercare di modificare il mio corpo con risultati altalenanti un giorno probabilmente in tutti i modi di inserirmi e farmi accettare la società, l’altro non vedevo l’ora di fuggire alle armi dal mondo così è venuta una vita tutta su e giù sotto il sole è sommersa. Da subito ho avuto un approccio col sex-working per scelta, Sì, ma dettata dalle circostanze affrettata, Sì, è istintiva anche prematura, Sì.
Un soffio di vento è quello che basta sconvolgere un esistenza così evanescente, un soffio di vento perché io andassi alla deriva smarrita nel nero profondo di una notte, un soffio di vento per sbattere contro lo scoglio della certezza delle leggi dell’inflessibilità del giudizio del diniego della società. Un soffio di vento per incagliarsi in una camera di ferro e cemento e una realtà forse più dura di quella che io posso sopportare. E qui altre fragilità il mio benessere è legato alla chimica delle mie cure ormonali e la mia stessa esistenza è legata alla salvaguardia dei miei diritti.
Entrare in carcere significa mettere in discussione tutto questo perché come fare un salto indietro nel tempo di 30 anni… nessuna certezza sulle terapie ormonali, nessuno supporto psicologico e medico adeguato, nessun riconoscimento e quindi scontri con gli altri detenuti. Il mio corpo diventa oggetto di desiderio sessuale da prendere con forza oppure oggetto di scherno da insultare, sminuire e umiliare con violenza oppure ancora generatore di odio e gelosie. Il mio corpo è il motivo per cui poche opportunità perché ho poche opportunità e poche garanzie e il motivo per cui non è certo la mia riabilitazione sono solitudine mantenute in solitudine isolata fra gli isolati sex worker fra i sex-offender…
Che tragitto tortuoso che attraversa l’inferno, per ogni minuto che ho passato dentro è svanito una certezza fuori finché quasi non sono stata cancellata e ora ancora dentro cerco di costruire qualcosa di nuovo con le poche forze che mi rimangono, che ho speso per restare per restare aggrappata e non cadere nell’abisso… ottimista, guarda il futuro di cui non v’è certezza e chiedo il permesso di tornare nel mondo e riprendere a decidere e vivere con le mie forze.
B
