• LETTERA DAL CARCERE

    Di Bianca Libera Riva

    Il carcere è, forse, un mondo sconosciuto e misterioso per la maggior parte delle persone che non l’hanno mai frequentato. Se ci dotassimo di una gigantesca, immaginaria, lente di ingrandimento vedremmo una moltitudine di persone popolare degli edifici angusti, bui e stranissimi. Mettendo progressivamente sempre più a fuoco questa lente, vedremmo sempre più dettagli: alcune di queste persone in carcere ci lavorano, altre sono persone detenute. Queste ultime sono divise in gruppi e abitano in spazi separati, il primo discrimine è il sesso: maschi da un lato e femmine dall’altro. A ben vedere la popolazione maschile è di gran lunga preponderante sia fra il personale che fra le persone detenute. Se poi, per scrupolo e perché animate da una consapevolezza sociale matura e aperta, volessimo oltrepassare la superficie, metteremmo la lente ancora più a fuoco e vedremmo così spuntare l’identità di genere! Eccomi, io mi trovo qui! Mi chiamo Bianca e sono una donna trans di Milano, in carcere dal 2020.

    Noi donne trans siamo immerse in questo mondo caotico e ne costituiamo una piccolissima parte! Siamo un granello di sabbia nell’occhio, impossibile da rimuovere e difficile da sopportare, che dà tanto fastidio. Siamo così piccole, siamo circa un millesimo del totale delle persone detenute, che fino a poco fa nessuno si curava di noi e, a tutt’oggi, siamo ancora a dir poco sconosciute. Siamo un corpo estraneo che in qualche modo deve essere gestito. Mal sopportate, veniamo considerate e dislocate nei modi più disparati e creativi.

    Io sarei felice, ora, di raccontarvi la mia esperienza, focalizzandomi in particolare su tutto ciò che ho vissuto nei miei primi, strani, e orribili anni di carcere. Sono stata gettata nel carcere di San Vittore, a Milano, in un reparto protetto, ossia senza contatti con gli altri, separata dai cosiddetti detenuti comuni. Mi sono trovata nel momento più crudo della pandemia Covid e ciò ha fatto sì che, per un buon periodo, fossi l’unica donna trans in tutto il carcere. Ma la cosa più incredibile e, direi, terrificante è che questo reparto protetto sia laddove vengono collocati i sex offender. Diciamo che tutta questa storia mi ha sconvolta e ha dato alla mia vita una grossa sterzata. La Bianca è stata disfatta e ancora oggi mi sto rifacendo. La demolizione è iniziata subito, senza che io me l’aspettassi, perciò inizialmente non sono riuscita a evitarla e mi sono trovata indifesa. Ho subito la rimozione delle mie caratteristiche peculiari e identitarie nel tentativo di sottopormi a un processo di uniformizzazione con gli altri. Ma gli altri che si trovavano con me, erano talmente diversi da me che mi sono subito sentita incompresa e “violentata”. Ho dunque cominciato a oppormi a questo processo: io, che ho fatto della diversità la mia essenza, mai avrei accettato questa equivalenza. Con gesti, parole e anche atti giuridici ho dovuto riscoprirmi e riappropriarmi di quello che sono sempre stata, del mio vero vissuto e del mio corpo. Sì, il mio corpo!

    La struttura sessista del carcere impatta e annienta (è fatta per annientare!) chiunque non sia maschio e forte. E lì, il maschio era un sex offender. E io, sex worker a lato dei sex offender, possedevo un corpo sessuato e un lavoro sessuale che erano intesi come un mix devastante. In quel momento era solo terrorizzata per tutto quello che mi stava capitando e pensavo solo a orientarmi. Così mi hanno dato un angolino tutto mio, piccolo piccolo, in cui stare e pochine cose da fare. Separarmi dai separati li avrebbe protetti dal dissolversi delle loro certezze.

    Ma il mio corpo è anche il veicolo di relazioni con altri ed è subito diventato ciò che creava curiosità e tentativi d’approccio per una conoscenza. Ciò veniva visto nell’ottica della mia professione e interpretato come mio tentativo di adescamento. La “stanza per me”, quella che mi è stata assegnata, squallida e spoglia, è stata da me sottoposta a un processo di femminilizzazione, semplicemente per rendermi più facile trascorrervi tutto il mio tempo. Ciò veniva interpretato come la creazione di una sorta di casa d’appuntamenti che serviva come richiamo, espressamente diretto all’altra popolazione del reparto che in effetti cominciò a venirmi a conoscere incuriosita. Sono nate così alcune relazioni amichevoli e positive con un ristretto gruppo di persone, ma purtroppo anche tensioni legate a stereotipi, pregiudizi, gelosie e incomprensioni con altre persone. Mio malgrado, quindi, sempre venivo additata, sospettata, sorvegliata a tal punto che questi ridicoli pregiudizi del personale si trasformarono tacitamente in certezze per alcune persone detenute le quali spesso mi hanno rivolto parole, attenzioni e atti sessualmente molesti. Se da un lato è estremamente vietata qualsiasi forma di relazione affettiva consensuale, dall’altro la molestia è quasi considerata nella normalità delle cose. Ho subito atti a cui mai avrei dato un consenso, non gravissimi forse, ma spesso si trattava degli stessi atti che avevano portato quei molestatori in carcere. Ho capito poi di essere stata in qualche modo sottoposta a quello che potrei chiamare un disciplinamento sociale forzato dalla sessualità e dall’identità.

    Possiamo forse affermare che questa nostra immaginaria lente di ingrandimento ci abbia fatto scorgere anche solo un piccolo anelito educativo e risocializzante? Forse servirebbe uno strumento più potente, forse non c’era proprio nulla del genere, perché abbiamo scorto solo cose orribili da osservare, ancor più terribili da dire!

    BIO: Bianca Libera Riva, classe 1974, nata a Milano, cresce a Quarto Oggiaro e poi cerca di trovare la bellezza nel mondo viaggiando in luoghi in cui può essere libera di esprimere la propria identità di genere. Vive e si ciba di arte, lavora per anni come sex worker e nel 2020 arriva l’esordio nel cinema. A giugno dello stesso anno è stata privata della libertà. Continua il suo impegno politico all’interno del carcere di Reggio Emilia.

    Fonte: GATTEBUIE. Voci femministe sul carcere, DWF (143-144) 2024, 3-4, p.51-53


    Per scrivere a Bianca è necessario indicare il suo deadname sulla busta. Non vogliamo pubblicarlo per non esporla e non procurarle più disagio di quanto già comporta la sua situazione, a causa della rigidità binaria e transfobica del carcere.

    Potete inviare le lettere da destinarle alla mail transenne@riseup.net o farcela avere a mano sempre contattandoci a questa mail o trovandoci alle varie iniziative sulla detenzione trans che organizziamo, indicando il mittente se volete ricevere risposta. In questo modo possiamo dare a Bianca la possibilità di intraprendere una corrispondenza autonomamente con chi le scrive una volta che risponderà via lettera all’indirizzo mittente che le farete avere.

  • CORPI ESTRANEI. L’ESPERIENZA DI BIANCA

    di ANNA ROSARIO D’AMARO – Da: DWF, Gattebuie. Voci femministe sul carcere (143-144) 2024, 3-4

    Ho conosciuto Bianca nel 2020, lavoravo al Mit (Movimento identità trans) dall’anno precedente, ero stata assunta un mese prima della sindemia Covid-19 per un lavoro di poche ore a settimana nella riduzione del danno in ambito di lavoro sessuale che, durante l’emergenza, si è trasformato in un lavoro a tempo pieno per la realizzazione di una raccolta fondi per aiutare sex worker in difficoltà.

    La lettera di Bianca è arrivata un giorno di inverno dell’anno successivo, ci scriveva da San Vittore, un posto che lei stessa definiva “un castello del terrore di fine Ottocento”. Lo stampatello sulla carta scandiva le sue parole ricolme di ansia e paura, ci raccontava di essere reclusa in una sezione popolata da uomini sex offender, ovvero autori di crimini sessuali. L’avevano inserita in quel reparto per proteggerla, là veniva collocato chi, se inserito in altri spazi, avrebbe rischiato soprusi da altre persone detenute. Bianca peroò era stata, fuori da quel luogo, una lavoratrice sessuale e il rischio di incontrare un cliente violento ed essere detenuta con il suo aguzzino era alto. Era chiaro da subito lo stato di solitudine e isolamento che si trovava a vivere, pensai che il minimo che avrei potuto fare per dimostrare solidarietà a una compagna privata della propria libertà era farle sapere che ci saremmo state per lei come associazione, unirci a lei come compagne di lotta e divenne per me un imperativo morale darle un sostegno concreto. Iniziammo una conoscenza epistolare, ricordo di aver aspettato con ansia le sue lettere, volevo conoscerla e sapere come stava, avevo paura che la detenzione, l’isolamento, l’impossibilità di ricevere colloqui a causa della sindemia la facessero crollare. Dalle sue lettere emergeva la tristezza di una vita che cambia tragicamente in cinque minuti e quaranta secondi. Le circostanza che l’hanno portata alla detenzione si sono verificate in un momento particolarmente bello della sua vita, aveva girato un film che iniziava ad essere presentato in vari festival e raccontava con estrema gioia il fatto che fosse stato presentato a Berlino. Era orgogliosa e fiera ma tutto questo si era dissolto in una notte e percepiva la sua vita avesse subìto una frenata improvvisa e violenta che l’aveva scaraventata in un’altra dimensione. Nonostante questa immensa tristezza, Bianca non perdeva la speranza e con l’associazione al suo fianco si sentiva meno sola. Col passare dei mesi conobbi la sua avvocata e il nostro rapporto poté subire una svolta importante, finalmente arrivarono i video colloqui. Io a Bologna potevo vedere Bianca detenuta a Milano, riflettevo sulla potenza di poter accorciare le distanze per tutte quelle persone migranti e detenute che altrimenti non avrebbero l’opportunità di vedere volti amici, amanti e familiari per mesi. L’appuntamento settimanale con Bianca continua tutt’oggi. Durante i video colloqui Bianca mi raccontava quello che viveva, le ingiustizie subite e che anche lei voleva fare qualcosa per la comunità trans. Il giorno del Tdor, Transgender Day of Remembrance, le mandai, come mi aveva chiesto, i dati dei crimini d’odio che ogni anno il Transgender Europe si premura di condividere. Lei li portò nella sezione e in un gruppo di mutuo aiuto spiegò cosa fosse la transfobia, spiegò che valore avesse per la comunità trans quella ricorrenza, di come non fosse solo un giorno di ricordo di chi è stata strappata alla vita, ma il giorno in cui la comunità trans chiede alla società il conto della violenza subita quotidianamente, un giorno di lotta in cui le persone trans si riappropriano dello spazio che è stato loro preso per gridare la propria rabbia e chiedere di essere ascoltate. Era fiera di aver dato un contributo in quella giornata ma era consapevole che le persone con cui aveva parlato non potevano comprendere quello che stava dicendo. Mi disse che era stanca di trovarsi reclusa con persone così distanti dal suo vissuto, voleva poter dividere questo spazio di dolore con altre donne trans, per essere compresa, per poter parlare nella tessa lingua, quella della strada, quella delle esperienze di vita dei corpi plasmati dall’identità.

    Parallelamente tutte le restrizioni dettate dall’emergenza sanitaria iniziarono a cadere e io entrai per la prima volta nel carcere di Reggio Emilia.

    La prima impressione di quanto il carcere sia un luogo intrinsecamente violento e opprimente l’ho vissuta nell’incontrare la polizia penitenziaria. Persone ostili, annoiate, sempre infastidite a qualunque richiesta. Il primo giorno mi fecero aspettare fuori dall’istituto prima di concedermi la possibilità di entrare, pensai che quell’attesa fosse dovuta al fatto che non mi conoscessero, in realtà questa attesa è continuata per i successivi tre anni, come a sottolineare il potere di farmi perdere tempo, di mettere in discussione la mia presenza straordinaria lì dove tutto risponde a regole e burocrazia. Superato questo livello e i controlli del metal detector entrai in questo lunghissimo corridoio che conduceva nella sezione Orione, pensai a quanto crudele e beffardo fosse dare il nome della costellazione più splendente a un posto del genere. Nella sezione erano presenti dodici donne trans, tutte donne migranti tranne una, alienate completamente dall’uso della terapia. Quando parlo di terapia intendo le massicce dosi di psicofarmaci che vengono somministrate alle persone detenute, una seconda gabbia chimica che, per alcune, è l’unica strategia per sopportare la detenzione. L’unica attività prevista per le donne detenute era il teatro il martedì, attività a cui partecipavano solo due detenute. Non erano previsti programmi scolastici, come nessun’altra attività di alcun genere, l’unica ora d’aria a cui avevano accesso era concessa una volta a settimana, non avevano possibilità di lavoro e soprattutto ogni richiesta che venisse fatta tramite domandina o la supplica all’educatore passava inosservata. La maggioranza delle donne trans presenti nella sezione Orione non aveva nessuno che le supportasse nei loro percorsi; molte erano assistite da avvocati d’ufficio costantemente assenti e non esistevano progetti per l’inserimento lavorativo. Inoltre, nessuna di loro poteva proseguire il proprio percorso di affermazione di genere: non avevano accesso agli ormoni e ricevevano solo cerotti anticoncezionali; non avevano accesso a consulenze endocrinologiche e meno che mai a un supporto psicologico che potesse essere utile anche per affrontare la detenzione. Per le donne detenute in quella sezione il carcere era uno stillicidio, una serie infinita di giorni vuoti, lontane dalla loro vita, dai loro affetti, costrette a un’esistenza scandita da dolore e noia.

    Riportai le mie osservazioni al Mit, descrissi quello che avevo visto e chiesi loro di attivarci per cambiare quella situazione, mi diedero carta bianca e massima fiducia. Al Mit inizialmente per questo progetto non avevamo fondi quindi servivano soldi per le attività, attività diversificate; un sostegno legale appropriato, la possibilità di proseguire i percorsi di affermazione di genere, avevano bisogno di un ascolto e di qualcuno che le aiutasse a mettersi in contatto con la famiglia o avesse a cuore il loro futuro. Cominciai con l’avvocata Antonietta Cozza a visitare una volta alla settimana il carcere di Reggio Emilia, iniziando a conoscere le donne, raccogliendo le loro esperienze di vita e cercando di capire come potessimo offrir loro un aiuto tangibile. L’avvocata decise poi di seguire gratuitamente molte di loro. Con i soldi raccolti durante gli eventi del Mit e le collette che io e Antonietta facevamo, siamo riuscite per molto tempo ad acquistare shampoo, bagnoschiuma, caffè, smalti, tutto quello che riuscivamo a far entrare dentro il carcere. Ben presto mi sono resa conto che quell’impegno non era sufficiente. Le donne trans detenute erano pochissime rispetto alla popolazione complessiva del carcere e nessuno si occupava di loro, avevamo bisogno di maggiori forze e attività, fu allora che con il Mit iniziammo a creare iniziative che avevano lo scopo di far capire la condizione che molte vivevano con la reclusione. Volevo che le persone conoscessero la situazione che vivevano le donne trans a Reggio, volevo creare un ponte, un effetto domino di sorellanza e sostegno. Iniziammo a organizzare aperitivi di autofinanziamento per continuare a mandare materiali in carcere, creammo degli swap party in cui i vestiti che venivano portati in associazione sarebbero stati dati alle detenute di Reggio Emilia, promuovemmo con la Libreria delle donne di Bologna l’iniziativa del “libro sospeso” per recapitare loro qualcosa da leggere, iniziammo corsi di serigrafia e aiutammo le donne a fare richiesta per proseguire i percorsi di affermazione di genere al Mit.

    Tutte queste azioni legali e di semplice sostegno pratico cambiarono sensibilmente la situazione che avevamo trovato un anno e mezzo prima. Chiaramente l’oppressione vissuta in carcere non avevamo potere di cambiarla e le nostre braccia erano davvero poche per portare dei cambiamenti quotidiani interni alla detenzione, ma ora chiunque avesse la sfortuna di entrare nella sezione Orione sapeva che con noi avrebbe trovato ascolto e sostegno. Contemporaneamente io e l’avvocata di Bianca iniziammo a scrivere lunghe e dettagliare relazioni per convincere il Magistrato di sorveglianza che San Vittore non era il luogo in cui avrebbe potuto trascorrere la sua detenzione e l’estate successiva Bianca fu finalmente trasferita nel carcere di Reggio Emilia. Era consapevole che le mancanze strutturali dell’istituzione penitenziaria avrebbero continuato a farla soffrire, ma finalmente ha potuto trascorrere in modo diverso il suo tempo, assieme ad altre donne trans. Ha cominciato a partecipare a tutte le attività proposte, ha avuto opportunità di nutrire la sua passione per la recitazione attraverso le attività teatrali e un anno fa è diventata la prima donna trans detenuta a iscriversi all’università, scegliendo la facoltà di filosofia. Sta cercando di gettare le basi di una vita al di fuori della detenzione e interviene in ogni manifestazione chiamata dal movimento transfemminista, contribuendo con testi che vengono letti dalle attiviste del Mit, che utilizzano i loro corpi come megafono per dare voce a chi è recluso e oppresso dal sistema penitenziario.
    In uno degli scritti di Bianca che ho avuto l’onore di leggere in piazza durante il Tdor di due anni fa lei affermava di essere “trapassata un un’altra dimensione dall’inizio della reclusione. In efetti quello che avviene per molte persone nella detenzione è una morte simbolica, in uno uno stato di abbandono e isolamento che annienta i rapporti con le persone che ami, e ti costringe in una vita senza libertà e diritti, schiacciate da un’istituzione violenta e il tempo passa mentre la vita corre via ti scorre affianco. Questo contributo non ha solo lo scopo di accompagnare il testo scritto da Bianca, vuole anche essere un monito alle persone che lo leggeranno, bisogna creare una rivoluzione radicale anche nelle nostre pratiche di sorellanza. La solidarietà deve essere messa in pratica; anche con risorse limitate possiamo offrire un grande supporto a chi è costretto in carcere, potendo così essere di aiuto concreto e trasformare in realtà gli slogan che portiamo nelle manifestazioni.


    BIO: Anna Rosaria D’Amaro, militante transfemminista e antropologa con una lunga esperienza nel lavoro sociale. Ha collaborato con il Mit come operatrice di strada e ha contribuito al progetto “Liberə” nel carcere di Reggio Emilia, dove ha promosso attività come serigrafia, gruppi di auto mutuo aiuto ed educazione alla sessualità per le persone detenute. Inoltre, ha organizzato momenti di ascolto e supporto legale settimanali, offrendo alle persone private della libertà la possibilità di un sostegno concreto. Il suo lavoro si distingue anche per l’impegno a sensibilizzare la cittadinanza, cercando di abbattere i pregiudizi verso le persone detenute.


    Fonte: GATTEBUIE. Voci femministe sul carcere, DWF (143-144) 2024, 3-4, p.54-58

  • Sul cosiddetto “DDL Disforia”

    L’11 agosto 2025 il Consiglio dei ministri ha presentato, su iniziativa del Ministro della Salute Schillaci e della Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Roccella, un nuovo disegno di legge (DDL) dal titolo “”Disposizioni per l’appropriatezza prescrittiva e il corretto utilizzo dei farmaci per la disforia di genere” (2575)”, che si trova da ottobre in fase di esame in Commissione. È l’esito finale di un crescendo di attenzione da parte del governo italiano nei confronti dei percorsi di affermazione di genere delle persone minorenni, incominciato nel 2023 con l’attacco all’ospedale Careggi di Firenze, e che si è espresso con una serie di interrogazioni parlamentari, decreti ministeriali, ispezioni, tavoli tecnici di approfondimento e infine con il coinvolgimento del Comitato Nazionale per la Bioetica, a cui è stato richiesto un consulto che ha prodotto una relativa relazione, sulla base della quale viene formulato il suddetto DDL (di questi precedenti passaggi abbiamo già dato conto in precedenti comunicati).

    Il testo del disegno di legge esordisce asserendo: “Il disegno di legge in oggetto deriva dal bisogno di salute delle persone minori di età (…)”, e qui incontriamo la prima menzogna! Il disegno di legge in oggetto non è una risposta al bisogno di salute delle persone minori di età, è una risposta al bisogno di disciplinamento delle esistenze trans, come di quelle di tutte le persone dissidenti dal regime eteropatriarcale e binario dei generi, che fa il pari con la triade Dio-Patria-Famiglia tanto cara a questo come a tanti governi. Disciplinamento, non a caso, è un termine che ricorre frequentemente nel testo del disegno di legge; linguaggio di stampo giuridico che ben esprime l’esigenza di irregimentare, gestire, inquadrare, controllare, tipica delle istituzioni biopolitiche totali che non ammettono l’autodeterminazione dell’individuo, in quanto considerata intrinsecamente antisociale

    Lo spauracchio ventilato è qui, come spesso accade, un presunto pericolo riguardante l’infanzia e l’adolescenza, che lo Stato (allo stesso tempo autorità patriarcale, il vero “capofamiglia”) si sente chiamato a proteggere dalle insidie della perversione – lx adolescenti andrebbero, di fatto, salvatx da se stessx, e lo Stato è l’autorità che si autoconferisce questo incarico di protezione. O almeno, questa è la retorica apparente, che giustifica l’intervento, e che sarebbe già spregevole di per sé. Ma quello che è innegabile è anche che questo disegno di legge, che non vieta ma di fatto rende più difficoltoso l’accesso ai percorsi di affermazione di genere per le persone minorenni, si inserisce a pieno titolo nel clima di crescente odio transfobico che negli ultimi anni si sta diffondendo in diversi paesi di pari passo con la virata verso l’estrema destra di molti governi. Questa legge si trova di fatto ad essere la risposta del governo italiano alle costanti pressioni esercitate dalle componenti cattoliche, TERF, reazionarie, fasciste e complottiste per porre freno a un presunto allarme sociale, quello dettato dal diffondersi di un pericoloso virus: l’ideologia gender, assieme ad alcune delle sue propaggini come il transattivismo e il conseguente contagio trans. Per dirla con parole nostre, il progressivo sgretolarsi di millenni di norme eteropatriarcali, il disvelarsi della natura socialmente costruita del binarismo di genere – consapevolezze ormai sempre più diffuse a livello sociale, specialmente nelle nuove generazioni, che mettono in crisi le fondamenta di tutto un sistema politico, economico e religioso basato sui valori della famiglia tradizionale. Di qui, la reazione. 

    Non ci soffermeremo in questo contesto sulle premesse fallaci che vengono usate per giustificare scientificamente queste mosse repressive (con particolare riferimento al Cass Review, che è stato più volte criticato analiticamente e su cui sono emerse forzature) dal momento che la questione è già stata affrontata in altre sedi. A fare le spese di questo contraccolpo reazionario sono per il momento soprattutto le persone trans minorenni, il cui accesso alla “non-si-sa-se-pericolosa” triptorelina, farmaco bloccante della pubertà, sarà ora strettamente disciplinato, come se tra l’altro già non lo fosse (per ricordare alcuni dati già citati altrove, ben nove persone trans in età prepuberale lo hanno iniziato ad assumere negli ultimi 5 anni, motivo per cui è scattata questa mobilitazione politica, con la relativa canea mediatica, per valutarne la pericolosità, a fronte di migliaia di bambinx, dell’età media di 8 anni, a cui viene prescritto ogni anno dagli anni ‘80 per bloccare lo sviluppo di una presunta “pubertà precoce” – davvero difficile credere che si tratti di premura per la salute delle persone trans piccole, come vorrebbe farci credere il governo Meloni!). 

    Con la motivazione addotta di dover monitorare l’uso della triptorelina, con questo disegno di legge viene richiesto alle strutture e agli ospedali che la prescrivono di trasmettere all’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), che di fatto è un’autorità governativa, una serie di dati relativi non tanto al farmaco e al suo uso off label quanto alla persona presa in carico, tra cui gli esiti dei percorsi psicologici, psicoterapici ed eventualmente psichiatrici, eventuali patologie diagnosticate e il follow-up della persona, per l’istituzione di un registro nazionale. Una vera e propria “schedatura” delle persone minorenni transgender contenente i dettagli della loro salute, comprese le cosiddette comorbilità, per esempio la presenza di altre diagnosi psichiatriche. Tutto in linea con la sempre più pervasiva schedatura digitale di tutti i dati della cittadinanza che già prosegue da anni da parte del governo, usando come testa d’ariete proprio l’ambito sanitario. L’AIFA, con cadenza semestrale, dovrà poi trasmettere al Ministero della salute un rapporto che dà conto dei dati raccolti nel registro. Ma soprattutto, ogni nuova richiesta di accesso all’uso di questo farmaco dovrà essere d’ora in avanti valutata e approvata anche dal Comitato Nazionale per la Bioetica, un organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la consultazione su problemi etici “spinosi”, una sorta di team di “professionisti dell’etica” (sì, fa ridere) istituito dal governo. Il Comitato viene rinnovato nei suoi componenti ogni quattro anni: alla scadenza del mandato è il presidente del Consiglio dei ministri ad avere il compito di scegliere i vertici del direttivo del Comitato, come infatti è successo a dicembre 2022, quando Giorgia Meloni ha comunicato le sue personali scelte nella composizione del nuovo Comitato – immaginiamo solo quanto le concezioni etiche della Meloni possano essere scevre da convinzioni ideologiche, politiche o religiose!

    L’adolescente e preadolescente trans si troverà quindi, per poter affermare la propria esistenza e le proprie scelte, ad essere passatx al vaglio non più soltanto dal consueto “team ospedaliero multidisciplinare” di psicologx, psichiatrx ed endocrinologx, ma dovrà ora superare anche il filtro morale di un team “bioetico” di docenti di diritto penale e internazionale, filosofx, storicx, sociologx (la maggior parte dellx quali legatx all’Università Cattolica), medicx (specializzatx in branche tra le più disparate, tra cui biotecnologia, oncologia, cardiologia, cure palliative, ecc.), direttorx e ricercatorx di strutture sanitarie, procuratorx, ex ministrx e per finire pure il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, che figura come vicepresidente del Comitato per la Bioetica! Quest’accozzaglia di figuri dovrebbe ergersi a tribunale popolare, anzi, “accademico”, di un vissuto che non appartiene loro e di cui probabilmente non hanno alcuna idea, ma su cui in alcuni casi, vista la formazione cattolica o altrimenti religiosa di moltx di loro, hanno sicuramente dei forti preconcetti. Un vero tribunale carnevalesco che, in realtà, non fa ridere affatto. 

    Questo DDL non significa altro, per ogni amante della libertà, che un’ulteriore ingerenza dello Stato nelle nostre vite; come se già non bastassero il controllo e l’inquadramento ideologico esercitati dalla famiglia, dalla scuola, dal sistema medico, dal sistema capitalista, da tutte le istituzioni “civili” per incanalarci nell’unica via da loro considerata percorribile, quella di individui alienati e incasellati in ruoli ben precisi, produttivi e funzionali per il sistema. Chiunque non rientri nei ranghi è considerato soggetto da assimilare o sottoporre a disciplinamento, da categorizzare e patologizzare per meglio controllarlo. Sempre più governi stanno spingendo per tornare a un paradigma di sempre maggiore patologizzazione e psichiatrizzazione dell’esperienza trans, in contrasto con le lotte per la depatologizzazione portate avanti da decenni dagli stessi movimenti trans, ma in linea con una tendenza più generale, che tocca tutte le individualità, a partire dalle persone più giovani: a sempre più ragazzx e adolescentx vengono prescritti psicofarmaci fin dalla più tenera età, e il loro numero è triplicato dopo l’esperienza traumatica collettiva del lockdown.

    L’unico antidoto alla patologia del potere sta allora nel rafforzare le nostre reti di solidarietà e mutuo aiuto, nell’intessere complicità e organizzare assieme la resistenza al potere politico e medicale!

  • Una lettera di Bianca a Scarceranda

    da: Scarceranda, quaderno 18. 2024. pp 109-111

    Un’immensa galassia di fragilità, è forse solo così che possiamo essere intese noi ragazze trans sexworker e detenute e solo così si possono comprendere le nostre storie molte variegate ma con comuni tratti di sofferenza. Io mi chiamo B. e sono una ragazza trans sexworker di Milano o meglio ero una sexworker perché ora sono detenuta.

    Mi trovo nel carcere di Reggio Emilia. Sarei felicissima se questa mia testimonianza diventasse un contributo utile alla riflessione sulla nostra condizione. Ho parlato di fragilità perché la fragilità è la chiave di lettura di tutte le nostre storie e fragilità è una delle parole che mi caratterizzano di più. Sono fragile dalla nascita poiché fin dal momento in cui ho iniziato a conoscere il mio corpo… Beh, non mi è piaciuto… Ho provato ogni sfumatura di disagio nello stare nel mondo e nel cercare di modificare il mio corpo con risultati altalenanti, un giorno in tutti i modi cercando di inserirmi e farmi accettare dalla società, l’altro non vedevo l’ora di fuggire alle armi dal mondo, così è venuta una vita tutta su e giù, sotto il sole e sommersa. Da subito ho avuto un approccio col sex-working per scelta. Sì, scelta ma dettata dalle circostanze, affrettata. Sì, istintiva, ma anche prematura.

    Un soffio di vento è quello che basta a sconvolgere un’esistenza così evanescente, un soffio di vento perché io andassi alla deriva smarrita nel nero profondo di una notte, un soffio di vento per sbattere contro lo scoglio della certezza delle leggi, dell’inflessibilità del giudizio, del diniego della società. Un soffio di vento per incagliarsi in una camera di ferro e cemento e una realtà forse più dura di quella che io posso sopportare. E qui altre fragilità, il mio benessere è legato alla chimica delle mie cure ormonali e la mia stessa esistenza è legata alla salvaguardia dei miei diritti.

    Entrare in carcere significa mettere in discussione tutto questo perché è come fare un salto indietro nel tempo di 30 anni… nessuna certezza sulle terapie ormonali, nessun supporto psicologico e medico adeguato, nessun riconoscimento e quindi scontri con gli altri detenuti. Il mio corpo diventa oggetto di desiderio sessuale da prendere con forza oppure oggetto di scherno da insultare, sminuire e umiliare con violenza oppure ancora generatore di odio e gelosie. Il mio corpo è il motivo per cui ho poche opportunità e poche garanzie e il motivo per cui sono mantenuta in solitudine, isolata fra gli isolati, sex worker fra i sex-offender…

    Che tragitto tortuoso che attraversa l’inferno, per ogni minuto che ho passato dentro è svanita una certezza fuori finché quasi non sono stata cancellata e ora ancora dentro cerco di costruire qualcosa di nuovo con le poche forze che mi rimangono, che ho speso per restare aggrappata e non cadere nell’abisso… ottimista, guardo il futuro di cui non v’è certezza e chiedo il permesso di tornare nel mondo e riprendere a decidere e vivere con le mie forze.
    B.

  • 6 Novembre 2025 Chiacchierata sulla detenzione Trans a Bologna – Senza Chiedere Permesso.

    Il 6 Novembre 2025 saremo a Bologna al mercatino autogestito Senza Chiedere Permesso a portare una chiacchiera sulla detenzione trans. Ci saranno aggiornamenti sulla situazione detentiva delle persone trans in italia e approfondimenti per conoscere meglio le specificità delle esperienze detentive delle persone trans, capire come essere efficaci nel portare solidarietà a chi sta dentro e collegare e alimentare le lotte.

    programma della serata (dal sito di Senza Chiedere Permesso):

    dalle 17:00 –  allestimento, birrette fresche e microfono aperto.

    dalle 19:00 – Chiacchierata sulla DETENZIONE TRANS in Italia.

    A seguire: succulenta cena vegan a sostegno della CASSA TRANS DI MUTUO AIUTO.

     A scaldarci caldo vin brulè benefit prigionierx

    Cassetta della posta complice e solidale attiva! Rompiamo l’isolamento, scriviamo ai prigionierx e a chi è privatx della libertà.

    💥 Con noi a sostenere l’iniziativa: queer riot rap senza esclusione di colpi con ANAFEM e WOR!
    👽 Infine prontx a scekerarci il cervello con l’hardtechno di DARKF0RCE

    Che la solidarietà faccia macerie di ogni galera! 

  • Sabato 8 Novembre 2025 Presentazione Fucking Trans Women

    Presentazione e chiacchiere attorno alla fanzine FUCKING TRANS WOMEN di Mira Bellwether. La fanzine, tradotta in italiano, parla di sessualità transfem.

    Dalle 18:00 al Circolo Hex di Bologna (Via di Corticella 56, Bologna)

    La sessualità trans è una cosa complessa, bella e sfaccettata. I numerosi stereotipi alimentati senza nessun particolare ordine di priorità dal porno mainstream, dalla società cisnormativa, dalle istituzioni patologizzanti non fa che renderla ancora più complessa, al punto di alienare le persone trans dalla loro stessa sessualità. 𝐅𝐮𝐜𝐤𝐢𝐧𝐠 𝐓𝐫𝐚𝐧𝐬 𝐖𝐨𝐦𝐞𝐧 è dunque un tentativo di fare un po’ di luce su una sessualità che viene sistematicamente misrappresentata. Cosa fare di un corpo i cui stimoli sessuali si rimappano? 𝐻𝑖𝑐 𝑠𝑢𝑛𝑡 𝑙𝑒𝑜𝑛𝑒𝑠: servono dei riferimenti, e questa zine ne è piena. Non è una zine per sole persone trans, non è una zine per sole persone trans+amanti: è una zine per tuttx, per chiunque abbia voglia di ripensarsi, di colmare le (troppe) lacune sul lessico e sul significato costruito attorno ai corpi trans, ritrovando ed inventando il proprio

    Troverete copie fisiche della fanzine in loco (Benefit Cassa Trans) o potete venire già studiatx scaricandone una copia da https://anarcoqueer.noblogs.org/post/2024/08/14/fucking-trans-women/

    DI SEGUITO UNA BREVE INTRODUZIONE PER CHI VORRÀ PARTECIPARE ALLA CHIACCHIERA A PARTIRE DA FUCKING TRANS WOMEN DI MIRA BELLWETHER

    Questa zine parla di sessualità transfem (e con transfem non intendiamo persone transfemministe), ma allarga il raggio del discorso a una serie di riflessioni sulla sessualità più in generale, partendo da una prospettiva trans e frocia. In primo luogo invitiamo caldamente chi voglia prendere parte a una chiacchierata a partire dalla zine FUCKING TRANS WOMEN a leggerla prima, non solo perché è meravigliosa, ma anche perché è piena zeppa di spunti interessanti!

    Abbiamo intenzione di impostare le chiacchierate che facciamo in maniera quanto più orizzontale possibile, lasciando che ognunx si senta di suggerire spunti di discussione e suggestioni (tipo parlare di terapie ormonali e sessualità, oppure di consenso, o ancora come farsi scopare nel culo in maniera indimenticabile :))

    Abbiamo voglia che questa zine e questi appuntamenti siano un pretesto per gettare le basi per un dialogo che apra possibilità di confronto, per trovare spunti interessanti, esperienze comuni o affini e per parlare di uno specifico tipo di sessualità che fatica a trovare spazi di dialogo comodi. Vogliamo che sia uno spazio comodo in primis per le persone che ne fanno esperienza in prima persona, che sono persone trans, non cis, frocie, queer e persone cis che condividono la propria sfera sessuale con persone trans.

    In secondo luogo vogliamo che questo dibattito sia occasionalmente una circostanza attraversabile e condivisibile anche con persone cis che non abbiano mai avuto esperienze con persone trans. Non vogliamo alimentare i tabù e pensiamo che questi siano ottimi strumenti e circostanze per smontare falsi miti e pregiudizi sulle persone trans e la loro sessualità. Vogliamo una partecipazione rispettosa e consapevole da parte di chi decide di affacciarsi. Benvenga la curiosità, ma giudizi e pareri non richiesti non interessano a nessunx e non saranno ben accetti.

    In particolare, in quanto persone trans ci troviamo spesso soggette a feticizzazione, pensiamo si possa parlare di tutto tenendo a mente questa cosa per evitare l’effetto freak show. Occhio anche all’oversharing e a maneggiare con cautela argomenti facilmente triggeranti.

    In particolare per chi non ha mai avuto un’esposizione a tutto ciò, confidiamo nel fatto che sviluppare una cultura sessuale consapevole sia cruciale per affacciarsi ad esperienze nuove in maniera rispettosa, cosciente e gioiosa. In questo l’autoformazione è fondamentale (è anche per questo che abbiamo tradotto la zine!) e la possibilità di poter ascoltare e/o parlare con le persone direttamente interessate è un buon modo per educarsi a vicenda e collettivamente.

    Hex è un circolo arci, sarà quindi necessario tesserarsi per partecipare alla presentazione. Sarà possibile fare la tessera in modalità alias, senza necessità di mostrare i documenti o esporsi a deadnaming.

    accessibilità: Siamo purtroppo consapevolx che l’architettura dello spazio non consente un accesso completamente autonomo alla sala dell’evento. Per maggiori informazioni non esitare a contattarci

  • Marius Mason rispedito in un carcere femminile dopo le ordinanze anti-transgender di Trump (USA)

    Marius Mason, prigioniero anarchico, fece coming out come persona trans in carcere nel 2016. Dopo dure battaglie ottenne di iniziare le terapie ormonali e cambiò i suoi documenti legali. Nel 2022 venne trasferito in un carcere maschile come da sua richiesta. Oggi, il governo sempre più transfobico dei cosiddetti Stati Uniti lo ha ritrasferito in un carcere femminile in seguito alle ordinanze di Trump.

    Marius ha ancora poco meno di due anni da scontare. È un anarchico ecologista e antispecista che fu condannato nel 2009 a 22 anni di carcere con l’accusa di terrorismo per il suo coinvolgimento in danni alla proprietà contro aziende ecocide. Il suo arresto faceva parte di quella campagna repressiva oggi nota come “Green scare”. La condanna a 22 anni di carcere inflitta a Marius non gli ha impedito di continuare a lottare contro l’ingiustizia, e mentre era dietro le sbarre si è instancabilmente battuto per i diritti delle persone trans detenute.

    Quello che è appena accaduto a Marius è quello che sta accadendo in massa alle persone trans detenute negli Stati Uniti dopo le ordinanze anti-transgender di Trump, nonostante le molteplici sentenze dei tribunali che bloccano le politiche del presidente. Nell’ordinanza di Trump vi è anche l’ordine di bloccare le terapie mediche di affermazione di genere per le persone trans in custodia federale e il misconoscimento del loro cambio di nome legale in favore dei dati anagrafici assegnati alla nascita. I funzionari del Dipartimento dell’Amministrazione Carceraria chiedono ora che il personale si riferisca allx detenutx trans con i loro nomi di nascita e con pronomi non corretti, oltre a negare le richieste di abbigliamento adeguato al loro genere. Il Dipartimento ha anche revocato le politiche che consentivano alle donne trans di essere perquisite da guardie di sesso femminile.

    Ovviamente tutto questo significa un incremento dei già elevati livelli di violenza sessuale e discriminazione dietro le sbarre nei confronti delle persone trans.

    Per scrivere a Marius e inviargli un po’ di affetto e sostegno, indirizzate le lettere a:
    MARIE MASON #04672-061 FCI Danbury ROUTE 37 DANBURY, CT 06811, USA

    https://supportmariusmason.org

  • Francia – Aggiornamenti su Louna, compagna trans anarchica arrestata per un attacco incendiario e associazione a delinquere

    Louna è una compagna trans anarchica arrestata a metà ottobre 2024, e trattenuta da allora fino a febbraio 2025 in custodia cautelare nel carcere maschile di Tarbes.

    Louna è stata accusata di aver dato fuoco a un macchinario utilizzato per la costruzione dell’autostrada A69 tra Castres e Tolosa, un progetto tanto inutile quanto mortifero. È stata rilasciata dal carcere il 14 febbraio 2025, dopo quattro mesi di prigione preventiva. La settimana precedente aveva avuto luogo il suo interrogatorio con il giudice istruttore, durante il quale lx avvocatx di Louna avevano anche presentato una richiesta di rilascio, che è stata poi accettata.

    Durante il colloquio con il giudice istruttore, Louna ha rivendicato la responsabilità dell’azione di cui è accusata. Ha detto: “Rivendico di aver tentato di danneggiare un’attrezzatura da costruzione. Tuttavia, non mi scuserò, perché lo considero un atto di legittima difesa dell’ambiente. Ricordiamo che negli anni ’40 lx combattentx della Resistenza erano etichettatx come terroristx: mi chiedo come saremo chiamati in futuro…”. Allo stesso tempo non ha risposto alle viscide richieste del giudice di collaborare alle indagini e fornire informazioni su altre persone.

    Il caso non è tuttavia terminato. Louna non è più in carcere, ma è sottoposta a una stretta sorveglianza giudiziaria: ha l’obbligo di rientro notturno, deve presentarsi in caserma una volta alla settimana, le è vietato lasciare la provincia e soprattutto le è vietato avere contatti con le persone a lei vicine…

    Seguiranno aggiornamenti sulle indagini in corso e sul futuro processo.

    Sito di supporto per aggiornamenti e comunicati: https://soutienlouna.noblogs.org/

    Contatti: soutien-louna@riseup.net

    Raccolta fondi per le spese legali: https://www.helloasso.com/associations/alerte-planete/collectes/a69-solidarite-face-aux-proces

    Un riassunto più dettagliato della vicenda

    A metà ottobre 2024, 4 persone sono state arrestate in diverse parti della Francia, per strada in arresti mirati o a casa propria alle 6 del mattino. Ognunx di loro è statx portatx a Tolosa per essere tenutx in custodia di polizia per 94 ore, nell’ambito di un’indagine su una “associazione a delinquere” legata alla lotta contro l’A69. Al termine della custodia di polizia, Louna è stata l’unica persona a essere indagata ed è stata inviata in carcere in detenzione preventiva. È accusata di aver distrutto una scavatrice utilizzando una sostanza esplosiva e di associazione a delinquere con mezzi pericolosi.

    Da allora è stata detenuta nel carcere maschile di Tarbes, nonostante sia una donna trans. E proprio perché è una donna trans, è stata messa in “isolamento”. In concreto, l’isolamento ha significato che il suo unico contatto sociale era con gli sbirri, e che poteva uscire dalla sua cella soltanto quando tutti gli altri detenuti erano nella loro. Questo ha reso estremamente difficile, se non impossibile, fare una passeggiata, fare una doccia o partecipare a qualsiasi attività. Ha subito transfobia a tutti i livelli del sistema giudiziario, dal costante misgendering alle invadenti domande di un giudice che le ha chiesto se voleva sottoporsi a un intervento chirurgico ai genitali e che si è stupito che non ci fosse un follow-up da parte di uno psichiatra per la sua transizione… Malgrado la transfobia e le condizioni di isolamento, Louna ha mantenuto alto il suo spirito durante la detenzione.

    Il suo arresto si inserisce in un contesto di mesi di repressione estremamente brutale verso lx attivistx contro l’A69. Oltre alla presenza sproporzionata di sbirri, questa repressione si manifesta anche nel centinaio di processi attualmente in corso, nelle decine di espulsioni di attivistx ordinate dai tribunali, in poliziotti che buttano giù attivistx da 6 metri di altezza e nelle pene detentive già comminate ad altrx due attivistx.

    Gli elementi dell’inchiesta

    Nella notte tra il 4 e il 5 maggio 2024, un’attrezzatura edile è stata incendiata non lontano dal tracciato della A69. Secondo gli inquirenti, i filmati di videosorveglianza della scena mostravano due persone che davano fuoco a un escavatore e poi una di loro aveva un ritorno di fiamma. La sera stessa, una persona è stata ricoverata d’urgenza in uno degli ospedali più vicini al luogo dell’incendio, con ferite che potevano essere compatibili con l’incidente filmato. Si tratta di Louna, ricoverata in ospedale quella stessa notte.

    Secondo i filmati delle telecamere a circuito chiuso dell’ospedale, sembra che tre persone la accompagnassero. Gli investigatori hanno individuato l’auto con cui Louna era arrivata in compagnia di queste tre persone e hanno preso il numero di targa e trovato quindi l’identità dellx proprietarix. Inoltre, Louna ha fornito il numero di telefono di unx parente su un modulo di emergenza, numero che i poliziotti sembrano aver associato a una delle persone che la accompagnavano. Gli agenti di polizia hanno anche sequestrato i suoi vestiti mentre era in ospedale e hanno prelevato del DNA da un paio di pantaloncini e da una mascherina anti-covid. Questo DNA è stato attribuito a una delle persone sospettate di aver accompagnato Louna in ospedale. Durante la visita, i poliziotti hanno anche scattato delle foto allx compagnx, di qualità migliore rispetto alle immagini di videosorveglianza perché scattate con uno smartphone. Questo probabilmente per tentare un riconoscimento facciale, ad esempio confrontandole con le foto dei loro archivi o con quelle dellx attivistx già notx contro l’A69.

    Dopo due giorni di degenza, Louna ha deciso autonomamente di lasciare l’ospedale.

    Sulla base di questi elementi, a metà ottobre sono state arrestate quattro persone: Louna, due persone sospettate di averla accompagnata e lx proprietarx dell’auto. Sono statx tenutx in custodia dalla polizia per 94 ore e interrogatx. Gli investigatori hanno anche approfittato del tempo trascorso in custodia per recuperare il DNA di Louna da una tazza che aveva usato, oltre ad averlo probabilmente già preso dai suoi vestiti in ospedale. Hanno dichiarato che lo stesso DNA era stato trovato su una mascherina anti-covid lasciata sulla scena dell’incendio. Di conseguenza, Louna è stata incriminata nell’ambito dell’indagine e le altre tre persone sono state rilasciate.

    A metà novembre, gli investigatori hanno effettuato una nuova perquisizione e un nuovo arresto a casa di unx attivista, notx alla polizia per il suo attivismo nei circoli ecologisti della sua città, sempre alla ricerca di almeno una delle persone che avevano accompagnato Louna in ospedale. Anche lxi è statx rilasciatx senza ulteriori provvedimenti.

    Tra le altre tecniche che la polizia ha detto di aver usato o che presumiamo abbia usato, ha messo sotto controllo le chiamate e i messaggi di testo non criptati di una o più delle persone sospettate, e avrebbe seguito i loro spostamenti tramite il controllo dei loro telefoni cellulari. Sembra inoltre che abbiano chiesto gli estratti conto bancari (anche dellx parenti dellx indagatx) e, dato che lo fanno quasi sistematicamente, possiamo immaginare che abbiano chiesto alle aziende telefoniche i metadati dei numeri che hanno attribuito a unx o più dellx indagatx. Infine, lx parenti di alcune delle persone sospettate sono statx convocatx per essere interrogati durante il fermo di polizia dellx congiuntx, nei casi in cui erano stati designati come parenti da avvisare da parte dellx sospettatx in custodia.

    Un’altra indagine è stata aperta a metà dicembre, quando tre persone sono state trattenute in stato di fermo per 36 ore, e poi rilasciate senza ulteriori provvedimenti. L’indagine riguardava diversi incendi in cantieri edili dell’A69.

    Concludiamo con alcune parole di Louna dal carcere:

    “Per tutte le lettere di sostegno, grazie per la vostra forza <3 È confortante vedere tanto sostegno nelle mie mani. Come dice una delle lettere “i muri sono spessi, ma la solidarietà è potente!”. Tutti questi piccoli e grandi disegni, poesie, aneddoti, parole d’amore, di tenerezza, di rabbia, di abbracci, di ammiccamenti… Siamo qui! Un grazie speciale alle sorelle trans, noi ci conosciamo, forza!
    Grazie per le serate di sostegno, le cene e tutto il resto.
    Un pensiero a chi sta lottando qui e altrove, siamo insieme <3 Forza a chi sta costruendo, curando, resistendo <3 Amore e Rabbia
    TranS RightS “

    Il suo gruppo di supporto segnala alcuni materiali per continuarsi a formarci e ad aggiornarci sulle tecniche di polizia e sulle pratiche di difesa collettiva per preservarci dalla repressione (in francese):

    Petit manuel de défense collective:
    https://infokiosques.net/spip.php?article1788
    Affaire « Lafarge » moyens d’enquêtes:
    https://infokiosques.net/spip.php?article2042
    Les chouettes hiboux face la répression:
    https://infokiosques.net/spip.php?article1706
    Sito No trace project:
    https://www.notrace.how/fr/

  • CHI SIAMO

    Siamo una rete informale di persone trans* da tutta Italia in cui convergono individualità da diverse esperienze e percorsi, ma accomunate dalla critica al capitalismo, allo Stato, al suprematismo bianco e al potere del sistema bio-medicale, con un approccio intersezionale alle lotte. Organizziamo dall’estate 2022 un Campeggio Trans, un’iniziativa di socializzazione e scambio di prospettive nata dalla necessità di incontrarci e (ri)conoscerci su una base di affinità e orizzontalità per organizzarci in maniera autogestita senza la delega ad associazioni, partiti o istituzioni, e per estendere le nostre relazioni in senso più ampio rispetto ai soli collettivi urbani.

    Da questa esperienza abbiamo costruito dei percorsi di sostegno alle persone trans detenute, oltre a mobilitazioni contro la transfobia di Stato e di movimento, prestando particolare attenzione al fenomeno del femminismo transfobico (TERF) e denunciando gli attacchi all’autodeterminazione trans da parte dei governi e del sistema medico. Nel partecipare ai momenti di lotta e mobilitazione del movimento transfemminista e per la libertà del popolo palestinese, cerchiamo di costituire una presenza organizzata per mettere in luce la nostra solidarietà alle altre persone oppresse da questo sistema e l’esistenza di una pratica trans militante radicale.

    Questo sito vuole essere un collettore di alcuni dei contenuti che produciamo sulla base dei nostri incontri e scambi di sapere e riflessioni. In un momento storico in cui si sono moltiplicate le rappresentazioni mediatiche dell’esperienza trans e i luoghi di aggregazione virtuali, continuiamo a credere nell’importanza di creare possibilità di incontro fisico tra persone, interagendo di volta in volta con i contesti che ci ospitano, dalle occupazioni transfemministe e/o anarchiche in città ai contesti rurali solidali, godendo qui anche di una relazione con la natura da cui spesso siamo così alienatx in questi tempi.

    Desideriamo dare vita a nuovi immaginari, tessere nuove narrazioni dell’esperienza trans, oltre la logica della rappresentazione, rompendo con la sovradeterminazione dei nostri vissuti e anche con una certa forma di performatività estetica che si traduce poi in nuove forme di normatività. Diamo vita a nuove forme di autonarrazione, riconoscendo le nostre singole vite nella loro unicità, riflettendo i nostri sguardi nella condivisione e nella solidarietà.

    Sul sito verranno pubblicati comunicati, approfondimenti, materiali e le iniziative che organizziamo o a cui partecipiamo, dove puoi trovarci se ti interessa conoscerci e coinvolgerti!

    Scrivici alla nostra email se vuoi contribuire in qualche modo a questo percorso od organizzare delle iniziative sul tuo territorio: transenne@riseup.net

    Puoi rimanere aggiornatx sul nostro canale telegram: https://t.me/+sbJ5f5QJGG9iZjU0

  • Di triptorelina, governi di destra e bioetica

    Il 16 dicembre 2024 il “Comitato Nazionale per la Bioetica” (CNB) – l’organo di governo preposto ad esprimersi sulle implicazioni etiche e giuridiche di questioni di medicina e salute pubblica – ha pubblicato la propria risposta alla domanda posta dal Ministero della Salute riguardo l’“eticità” dell’utilizzo della triptorelina come sospensore della pubertà all’interno dei percorsi di affermazione di genere per persone minorenni.

    Per contestualizzare, la triptorelina è un farmaco in uso medico dal 1986 per svariate condizioni dove si ritiene necessario abbattere la produzione ormonale del corpo, in modo completamente reversibile. L’utilizzo più comune che ne viene fatto è di ritardante della pubertà cosiddetta “precoce”, e a questo scopo viene prescritta a migliaia di persone cisgender di età anche inferiore agli 8 anni. Questo tipo di utilizzo è ritenuto “sicuro” e non viene minimamente nominato e messo in discussione, né in Italia né in quei paesi (quali la Gran Bretagna, i paesi scandinavi e diversi stati conservatori degli Stati Uniti) dove invece i governi, in particolare grazie all’alleanza tra forze reazionarie “classiche” e movimento TERF, sono riusciti in tutto o in parte a vietare la terapia di sospensione puberale per l’affermazione di genere delle persone trans minorenni.

    L’unico ospedale in Italia dove era possibile farsi seguire in una terapia di sospensione della pubertà era il centro-medico ospedaliero Careggi di Firenze, su cui dai primi mesi del 2024 il senatore Gasparri (Forza Italia) ha lanciato una campagna di indagine ministeriale. Questa campagna si inserisce nel quadro di un’erosione progressiva della libertà di autodeterminazione delle persone trans e di genere non conforme messa in atto in molti paesi occidentali, a cui il governo Meloni non poteva che aderire. Le interrogazioni in merito del senatore Gasparri sono state tre, con relative due risposte. La fase successiva è stata la richiesta di un parere al Comitato Nazionale di Bioetica “sull’utilizzo della triptorelina nel caso di diagnosi di ‘disforia di genere’”.

    Il primo elemento che ci preme far notare è che nel Comitato Nazionale per la Bioetica tutte le cariche presidenziali sono attualmente occupate da medici e professori che lavorano in ospedali e università di proprietà della Santa Sede (Casa Sollievo Sofferenza di San Giovanni Rotondo, Università Cattolica Sacro Cuore di Roma), con due eccezioni nel Capo Rabbino della Comunità Ebraica di Roma ed in un professore di diritto penale militante di Alleanza Cattolica.

    Nella risposta che ha prodotto sulla questione della triptorelina, il Comitato ha affermato che gli studi su questo tipo di terapia siano ad oggi insufficienti, che i loro esiti siano contraddittori, e sostanzialmente auspica un regime sperimentale per la terapia così oneroso in termini di personale, organizzazione e risorse da mettere fuori gioco la possibilità di portarlo avanti realmente. Ma come sono giunti a queste conclusioni? Il documento fa un utilizzo estremamente capzioso delle fonti, citando studi controversi e ampiamente criticati, e tratteggia realtà inesistenti. Ad esempio, lascia intendere che in Italia la triptorelina venga elargita alle persone minorenni con estrema facilità, mentre i dati mostrano che in cinque anni sono state soltanto 9 le persone trans minorenni trattate al Careggi in fase pre-puberale con il suddetto farmaco.

    Data l’inconsistenza degli elementi messi in campo, non troviamo utile controbattere sul loro stesso terreno “scientifico”. Ciò che ci preme sottolineare è il desiderio, che trasuda da questo testo impregnato di ideologia, di reprimere quella che viene considerata una “devianza” di genere. Secondo il CNB il blocco della pubertà sarebbe una terapia dal valore incerto, perché la maggior parte delle persone che ne usufruiscono deciderebbero poi, da maggiorenni, di iniziare un vero e proprio percorso di transizione tramite terapia ormonale: ribaltanto la logica comune, per cui questo dovrebbe confermarne la validità, il sottinteso dell’affermazione del CNB è che la transizione di genere sia un qualcosa da evitare a tutti i costi, ed il criterio per valutare l’efficacia della terapia consiste in quante persone NON intraprenderanno in seguito percorsi di transizione di genere. A questo scopo, il Comitato afferma che per salvaguardare la consapevolezza del consenso delle persone che decidono di sospendere la propria pubertà, queste andrebbero sottoposte a maggiori valutazioni ed eventualmente a “terapie” psichiatriche, e solo se queste ultime non dovessero far desistere la persona dall’andare avanti allora si potrebbe procedere con la prescrizione del farmaco. Una visione così profondamente patologizzante della varianza di genere da far tremare decenni di lotte trans per l’autodeterminazione, con la velata minaccia di tornare a un sistema clinico per cui l’identità trans sarebbe da considerarsi un’inversione delle tendenze naturali da evitare a tutti i costi, che delegittimerebbe la nostra stessa esistenza e aprirebbe le porte a terapie di “conversione” di ogni tipo, come in realtà sta già avvenendo all’ospedale Gemelli di Roma.

    La natura profondamente ideologica di questi attacchi istituzionali alle terapie di sospensione della pubertà utilizzate dalle persone trans minorenni è dimostrata dal fatto che gli stessi trattamenti con la triptorelina per le giovani persone cisgender non sono messi in discussione, nonostante i numeri siano ampiamente superiori e l’età in cui vengono prescritti sia di molto inferiore. Se non fosse abbastanza chiaro, si tratta quindi di un intervento puramente ideologico.

    Che viviamo in un mondo dove le persone trans sono sempre più bersagliate e trattate da capro espiatorio per la degenerazione della modernità ormai dovrebbe essere evidente a chiunque. In questo quadro il ruolo della bioetica come strumento ideologico volto a giustificare la stretta del controllo statale sui corpi è innegabile. La morsa della repressione transfobica si estende sempre più, a partire dalle persone minorenni, infantilizzate e assoggettate in ogni ambito delle loro vite, e in nome delle quali si giustificano le peggiori atrocità e una morsa sempre più soffocante da parte del potere statale. Il risultato sono disposizioni che vanno proprio a reprimere i soggetti reali al posto dei quali si sta prendendo voce. Si svela così come questi discorsi che si pretendono a “difesa dei bambini” parlino in realtà di un’infanzia idealizzata e strumentalizzata per fini politici, dal momento che non si confrontano in alcun modo con i bisogni reali degli individui in questione ma anzi li reprimono nel diniego ideologico.

    Ora la decisione finale spetta a un “Tavolo tecnico interministeriale” composto da 29 membri che dovrebbe pronunciarsi ad aprile 2025. Il tutto è sempre avvolto da un’estrema opacità, in cui non è possibile sapere quando iniziano i lavori, quando si riuniscono, né accedere alle consultazioni. Intanto Repubblica, il 19 marzo 2025, citando fonti interne non specificate, ha pubblicato alcune anticipazioni, secondo cui la prescrizione del farmaco non dovrebbe venire sospesa ma “soltanto” inserita all’interno di protocolli sperimentali e maggiormente attenzionata. Marina Terragni, nota TERF insignita pochi mesi fa della carica di Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza del governo Meloni, segnando un preciso piano politico di attacco alle persone trans da parte del governo, invita a non cantare vittoria, sottolineando come le due figure storiche del team multidisciplinare del Careggi, l’endocrinologa Alessandra Fisher e la psicologa Jiska Ristori – che con il loro lavoro lo rendevano uno dei pochi centri in Italia con un approccio più affermativo e solidale – non ne facciano più parte. Gli ostacoli frapposti in ogni modo dal governo stanno intanto provocando al Careggi una serie di disservizi reali, ritardi e interruzioni nelle prescrizioni che stanno impattando sia i percorsi delle persone minorenni sia di quelle adulte prese in carico.

    Tutto questo non ci sorprende. Per quanto la questione venga rivestita da un’aura di dibattito etico e scientifico, nei paesi dove la triptorelina è stata vietata o limitata questo non è avvenuto a causa di conclusioni frutto del dibattito scientifico né in conseguenza di nuovi dati che ne evidenziavano rischi o reazioni avverse gravi, ma a causa della virata verso l’estrema destra dell’orientamento politico del governo. È esattamente quanto sta accadendo anche in Italia.

    Invitiamo pertanto le persone solidali a mantenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo, a denunciarlo in ogni occasione possibile e a contrastare in ogni modo l’avanzata del fascismo, il cui obiettivo è restringere ulteriormente i già risicati spazi di libertà di chiunque non sia inquadrabile o sia di ostacolo al suo ordine capitalista, suprematista bianco ed etero-patriarcale!